
Per molti forse la pietà popolare è qualcosa che ha il gusto dell’arcaico, dell’anacronistico e del non senso, ma è realmente così?
Di certo la pietà popolare mantiene ancora valori spirituali e religiosi che la “modernità” tende a trascurare. La nostra fede, infatti, non è solo razionale. Tante volte essa fa leva anche sulla corporeità, sui gesti, sui linguaggi. Risulta essere ai più una pratica lasciata a gente “semplice” quasi a sminuire tanto i fedeli che la praticano, tanto la portata ed il valore intrinseco che essa esprime proprio nella sua semplicità. Certo un po’ dà fastidio, tanto più che sappiamo quanto sia importante, quanto faccia presa più di ogni altro aspetto, la valorizzazione anche dell’esperienza umana. La pietà popolare fa leva anche su questi elementi, potremmo dire che sollecita emotivamente ciò che la ragione accetta senza troppe lugubrazioni mentali come aspetto necessario per la fede. Trascurarla o sminuirla dicendo che è cosa da poco significa limitare la grazia di Dio che opera al di là delle nostre idee ed opinioni. La pietà popolare rientra a pieno titolo nelle dinamiche dell’evangelizzazione, proprio come lo è stato nel corso dei secoli l’arte o la preghiera del rosario, definito il Vangelo dei poveri, giusto per fare qualche esempio.
La pietà popolare è sicuramente una provocazione che crea problemi enormi alla cultura moderna, perchè mette in risalto elementi come la trascendenza, del mistero, della devozione e della fedeltà che, nel nostro caso, passano attraverso la semplicità, la ritualità, la preghiera, il senso della festa troppo spesso mortificati dal mito del dominio, dell’utile, del fruibile per appagamento, dell’efficienza e dell’individualismo. La pietà popolare, invece, si propone come un popolo che cammina (proprio come nelle processioni) lasciandosi accompagnare e affidandosi ai santi della Chiesa, in cui vedere un modello da imitare e come aiuto da invocare, per poter piacere a Dio e convergere verso Cristo, centro e fine di tutta la vita cristiana.
